La vita bugiarda degli adulti, l’ultima fatica di Elena Ferrante

Dunque Elena Ferrante dopo la tetralogia dell’”Amica geniale”.

Il nuovo libro, “La vita bugiarda degli adulti” è, come tutti gli altri, ambientato a Napoli, fonte inesauribile di ispirazione per l’autrice. Premettiamo subito una cosa: Ferrante è narratrice di razza, che nel tempo ha accumulato molto mestiere e sa come portare avanti una storia, avvalendosi sia dei mezzi della narrativa “alta” che di quelli d’appendice, quindi nessun suo libro può essere un insuccesso.

La protagonista dell’ultimo è Giovanna, e la vicenda quella dell’approdo della ragazzina alla vita adulta, così che il romanzo tecnicamente può considerarsi di formazione.

Il processo viene avviato da un’osservazione che il padre butta lì credendo di non essere udito, che fa sentire Giovanna brutta o, peggio ancora, somigliante a Vittoria, sorella del genitore, zia bandita dalla famiglia ed epitome di ogni malvagità.

Siccome alle nostre latitudini crescere significa distaccarsi dalla famiglia, Giovanna decide di ribellarsi al divieto di conoscenza e andare a verificare di persona com’è la zia.

Avviene così la discesa dai quartieri alti, dove la ragazzina vive, a quelli bassi e degradati abitati dalla parente, il passaggio dall’italiano al dialetto, la scoperta che la vita degli adulti è tenuta insieme da un perbenismo di facciata, tutti temi già presenti nella tetralogia.

E là come qua molte cose non convincono. Chi scrive ha letto opere precedenti dell’autrice ma non la tetralogia-limitandosi a seguirne la versione televisiva- ma né in quella né nel nuovo romanzo risulta chiaro il perché dell’attrazione di ragazzine sveglie per malavitosi, né il passaggio repentino dalla sensibilità e delicatezza adolescenziali alla sguaiataggine anche sessuale. Non perché un personaggio non possa avere contraddizioni, ma perché queste non sono preparate a sufficienza, e risultano un po’ meccaniche. Anche alcuni dialoghi e situazioni appaiono inautentici. Per esempio, la storia è ambientata a Napoli negli anni ’70, ma le modalità di approccio sessuale sono le stesse che negli anni ’50, con ragazzine prelevate in macchina al fine di un eventuale abuso di gruppo ed espressioni come “ha un gran petto”, che sinceramente non si sentivano più, neanche tra la malavita, dai tempi dei filmetti scollacciati anni ’50. È come se l’immaginario dell’autrice fosse rimasto fissato a quegli anni e là tornasse non appena possibile. Ciò detto, la narrazione è fluida e trascinante, seppure un po’ tirata per le lunghe. È chiaro l’intento di dare al libro un seguito e diluire la suspense per altri due o tre volumi.